AM – Arctic Monkeys | Recensione

Evoluzione e Innovazione: così possiamo definire la quinta fatica degli Arctic Monkeys. L’evoluzione artistica di una rock band si comprende dal modo d’imporsi, di migliorare e di evolvere il proprio sound. L’innovazione che un nuovo album trasmette all’ascoltatore viene rappresentata dal progressivo e ossessivo desiderio di ricerca e di cambiamento.

Il gruppo di Sheffield, ormai californiano nell’anima e nella musica, durante gli ultimi due anni ha prodotto qualcosa di inatteso per una band che ha fatto dell’alternative indie il proprio cavallo di battaglia. Non aspettatevi dunque il sequel di Suck It And See, o una rivisitazione di Humbug, tanto per intenderci, ma accendete il vostro amplificatore, attaccate il jack audio al vostro iPod (sempre che siate amanti del sound digitalizzato…), alzate il volume e godetevi AM.

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First track, Do I Wanna Know? Prima impressione, primo beat, primo sussulto. Passano i secondi e si capisce che qualcosa da lì a poco sta per succedere. Pregustiamo lo struggente attacco del duo basso-chitarra e prontamente veniamo soddisfatti. Matt svolge il suo lavoro come una una drum-machine umana. Alex comincia ad intonare le prime parole come solo lui sa fare. Il timbro può sembrare diverso ma credetemi, il ragazzo sa adattare la propria voce a qualsiasi tipo di sonorità e stile. La canzone procede senza troppe interruzioni. Determinata, precisa, vigorosa, sensuale. Il testo combacia perfettamente con il ritmo del pezzo, giustificando quella forte emotività che lo stesso sound esprime attraverso più di 4 minuti di estremo piacere.

Non abbiamo il tempo di rilassare il nostro udito che subito attacca R U Mine? È vero, c’è poco da dire ormai su quest’ottimo trambusto fatto di assoli, rullanti, cori, urla e riff che richiamano il tanto acclamato e generalizzato Hard-Rock. Qui ritroviamo i vecchi Arctics, quelli che non amavano dare punti di riferimento, che ti costringevano a imparare tutto il testo perché era impossibile ripeterne il motivetto durante i concerti. L’esempio di tale ritorno al passato ce l’hanno dato un anno prima di AM, perché? L’anticonformismo musicale di Alex e compagni ci ha sempre colti impreparati, passando attraverso molteplici stili musicali, facendoceli apprezzare e odiare soprattutto per chi fa delle recensioni il suo lavoro. R U Mine?, musicalmente parlando, confonde ed intriga, proiettandoci verso la terza canzone dell’album.

One For The Road comincia con un coro. La tonalità è sempre la stessa, come un marchio di fabbrica. È una canzone né troppo vivace o troppo lenta e… nemmeno troppo studiata. Il punto di rottura ideale dopo un inizio di ascolto scioccante. Un pezzo eseguito con maestria che lascia spazio a qualche assolo, cambiamento repentino di ritmo e tonalità.

Rispetto agli altri lavori sembrerebbe quasi che il ‘palmato’ sia il nuovo credo di Jamie. Arabella è un ulteriore indizio della passione della band per i Black Sabbath, già nota dai tempi di HumbugPretty Visitors in particolare. In Arabella lo si intuisce già dai primi attimi. La conferma arriverà successivamente col riff del ritornello. Il beat prosegue sempre con la stessa velocità e risolutezza mentre Nick, ancora una volta, ci delizia con il suo basso, componente indispensabile per il sound degli Arctics. Come in Humbug sì è cercato di emulare quelle sonorità tipiche del Rock anni ‘70, rendendo tuttavia Arabella un variopinto “brano contemporaneo” (“she’s a modern lover”, appunto).

Nei due album precedenti, l’’Alternative’ è stato più che una semplice apparizione o prova e I Want It All ne è la conferma. Accordi e tonalità vengono allineati per far sì che l’intera melodia sia uniforme e stabile. Gli echi glamsters anni ’80 e e gli accostamenti col sound neo-progressivo dei Muse appaiono costantemente.

Si riduce il volume della traccia numero 5. Rimaniamo in silenzio e aspettiamo. Li conosciamo bene, sappiamo che da un momento all’altro possono stupire il saccente ascoltatore con qualcosa di diverso, inconsueto.

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Traccia numero 6.  Alex chiama il tempo, Matt attacca, Nick lo segue, Jamie fa altrettanto. Ecco la canzone lenta. Ecco la ballata che ci aspettavamo. No. 1 Party Anthem ha nella sua natura le tipiche sonorità già sperimentate in Humbug (vedi Cornerstone) arricchite da una poesia metropolitana scritta e cantata con assoluta padronanza ed innata destrezza, con l’intento di trasmettere un messaggio originale e giovanile. Ciò che rende questa canzone spettacolarmente dolce è la presenza del pianoforte, elemento di certo non ignoto agli Arctic Monkeys, ma che di sicuro non aspettavamo. No. 1 Party Anthem è bella, lineare, semplice e di alto spessore artistico. “C’mon c’mon c’mon’ Number 1 Party Anthem’. Il finale, senz’altro, commovente.

Traccia numero 7, Mad Sounds. Musica leggera unita ad un sound alternativo di sicura influenza alla Lou Reed. Dolce il suono degli accordi delle chitarre, gradevole l’intonazione di Alex, armoniosa la melodia che viene accompagnata dalle tastiere. Dietro questa canzone si nascondono forse i rimpianti di Favourite Worst Nightmare e qualche idea scartata dal concept di Humbug.

Fireside è il punto di transizione dell’album. Qui non ci sono assoli rock, batterie che inneggiano al progressive o repentini cambiamenti di tonalità e tempo. Per 3 minuti ascoltiamo un brano che a tratti appare monotono, con brevi cori e una lieve riproduzione di ciò che potrebbe definirsi ‘electronic-rock’.

Si ricomincia con Why’d You Only Call Me When You’re High?, traccia numero 9. Il beat cambia la natura dell’intero album, diremmo, non solo per eventuali e improbabili derivazioni ‘Hip-Hop’, bensì per quell’uniforme melodia suonato con grande perizia da tutti i membri della band. Il testo ci fa intendere che gli Arctic Monkeys sono come noi, hanno le stesse esperienze e le stesse preoccupazioni. Per una band che ha segnato la nostra adolescenza non ci sarebbe stata canzone migliore. La voce con la quale Alex canta ha un che di beffardo, il che corrisponde esattamente con l’esigente melodia di questo pezzo, tra i più originali mai composti dai quattro di Sheffield.

Era da tanto che non sentivamo del sano Brit-Pop ed è grazie a Snap Out Of It che possiamo ripercorrere quel percorso di 10 anni fa stilisticamente indirizzato al revival intrapreso da ‘Hoosiers’, ‘Scissor Sisters’ o ‘Kaiser Chiefs’. Il battito segue idealmente ciò che è il concetto tempistico di AM. La tonalità maggiore viene rinforzata dagli accordi del pianoforte. Pochi strappi, ritornello puntualmente riprodotto quasi fosse un ‘rock-pop’ di qualità.

Abbiamo sempre detto che la melodia degli Arctic Monkeys fosse segnata dal duo basso-batteria. Durante Knee Socks abbiamo avuto la conferma che Nick e Matt sono le materie prime di ogni lavoro della band, ma che anche Jamie riesce a stupire l’ascoltatore aggiungendo suoni e riff che non possono che arricchire ogni lavoro. Per il resto Knee Socks prosegue senza troppo intoppi e molti cori. Cori, per l’appunto, che vanno inesorabilmente a prendere il sopravvento poco dopo la prima parte della canzone, finendo con un improbabile assolo puramente pop che può lasciar perplesso perfino l’amante delle boy-band britanniche d’inizio anni ’90. Si finisce laddove tutto è cominciato, sincronizzando gli strumenti per poi terminare con un ultimo sussulto. Matt.

Vi ricordate John Cooper Clarke? No? Beh, neanche noi. A dir la verità poco importa, se non altro che la metà del testo viene ripresa da I Wanna Be Yours di Cooper, cantautore Britannico e poeta molto apprezzato durante gli anni ’70 .

I Wanna Be Yours è anche l’ultima traccia di ‘AM’. Tranquilli, niente plagio, niente copia o tributo. Musicalmente parlando si tratta di un pezzo lento, dalle sonorità già ascoltate in ‘Favourite Worst Nightmare’, incantevole nel tempo e nel testo. Non è affatto la tipica ballata romantica-sdolcinata stile ‘pop anni ‘80’, ma l’epilogo di un album che ci lascia con la certezza che loro, gli Arctic Monkeys, possono, devono, vogliono continuare a stupire.

Lo hanno fatto in passato, lo hanno fatto stavolta, lo faranno, ancora.

AM

Track Count: 12
Artist: Arctic Monkeys
Released: September 9, 2013
℗ 2013 Domino Recording Co Ltd


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